Por Giuliana Sgrena
Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu’ prestigiose, e’ tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e’ stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu’ ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e’ stata rapita il 4 febbraio 2005; e’ stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l’auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e’ stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu’ del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004]
Tornare a Kabul dopo tre anni di assenza e’ uno shock. Rovine, palazzi nuovi, molti di vetro, zone completamente bunkerizzate con pareti enormi fatte di bidoni di cemento e filo spinato a protezione di obiettivi strategici (militari, ambasciate, Onu, etc.), mercati invasi da prodotti cinesi, montagne di immondizia, strade allagate in una citta’ che soffre per la mancanza di acqua, si alternano con assoluta opacita’. Le contraddizioni sono esplosive ma per ora la tensione, pur palpabile, sembra covare sotto la cenere. Manca l’elettricita’ ma i telefonini vanno a ruba. I poveri sono sempre piu’ poveri e numerosi e i ricchi, pochi, sempre piu’ ricchi. Nel centro della citta’ le vecchie catapecchie vengono sventrate per lasciare spazio a ville o palazzi, con vetrine che da tutti i piani si affacciano sulla strada per fare bella mostra di vestiti dozzinali.
Altri palazzi, piu’ discreti, ospitano negozi piu’ raffinati, ristoranti e business centre, accessibili solo agli stranieri, numerosi in citta’. La presenza degli stranieri ha completamente drogato il mercato: l’affitto di una casa a due stanze e’ di 300 dollari, mentre lo stipendio di un funzionario pubblico afghano e’ di 50 dollari, ovvero una cena in un ristorante di lusso. A Kabul gli stranieri non sono solo occidentali ricchi, infatti, nonostante l’alta disoccupazione afghana, molti sono i lavoratori chiamati dai paesi della regione: per le costruzioni vengono impiegati i pachistani, mentre negli alberghi sono assunti indiani e nepalesi.
* Edilizia selvaggia
Uno sviluppo edilizio selvaggio che non deve nemmeno fare i conti con un piano regolatore che non c’e’, e al quale ha partecipato anche l’ex sindaco di Kabul, Jack Dalak. Che non solo si e’ costruito un palazzo nella parte settentrionale della capitale, ma ha fatto spianare le baracche di un ex campo militare nel centrale quartiere di Sharbur, dove avevano trovato rifugio alcuni senzatetto, per distribuire il terreno, per pochi soldi, ai signori della guerra che vi stanno costruendo lussuosissime ville. Signori della guerra, che in molti casi fanno parte del governo o si apprestano ad entrare nel nuovo parlamento, e che si sono trasformati in signori della droga, businessmen, i nuovi padroni dell’Afghanistan. E’ infatti il traffico dell’oppio, che rappresenta il 50% del prodotto interno lordo (se si tiene presente il mercato nero), a finanziare tutto quello che si muove in Afghanistan, politica compresa.
*L’oppio
La battaglia contro la coltivazione dell’oppio e’ una sfida improbabile. Nonostante la costituzione di un ministero anti-narcotici, in funzione da qualche mese. Quest’anno la coltivazione di oppio e’ stata ridotta dal 67 al 63% a livello globale, ma grazie al clima favorevole - soprattutto la pioggia - la produzione afghana ha raggiunto il livello record dell’87% di quella mondiale. La politica dello sradicamento, favorito dai paesi donatori occidentali, Gran Bretagna in testa - che vogliono risultati subito per eliminare il problema in casa - rischia di naufragare di fronte alla mancanza di alternative valide e all’assenza di infrastrutture necessarie per altri tipi di coltivazione. Non solo. Il problema e’ complesso: la coltivazione di papavero non deve solo fare i conti con la poverta’. I proprietari della terra non sono i contadini che la lavorano ma i signori della guerra che l’affittano, imponendo il tipo di coltivazione visto che ne spartiscono la produzione e non c’e’ prodotto piu’ redditizio dell’oppio. Quindi la lotta alla coltivazione dell’oppio e’ di lunga durata, secondo le Nazioni Unite, tanto piu’ in un paese dove e’ estesa a tutto il territorio nazionale. Peraltro, se viene sradicata da una parte del paese, la coltivazione aumenta dall’altra e si sposta anche oltre confine, in Pakistan, nelle zone tribali che sfuggono al controllo del governo di Islamabad. Piu’ che alle leggi di Kabul la produzione risponde alla domanda occidentale. Negli ultimi tempi, soprattutto con il ritorno di rifugiati, il consumo di droga si e’ tuttavia diffuso anche in Afghanistan. Non si tratta solo del tradizionale fumo di oppio, ma anche di eroina, e l’assunzione attraverso iniezione rischia di comportare un nuovo disastro, quello della diffusione dell’aids. Oltre alla droga si e’ diffuso anche il consumo di vino, causa di molti incidenti stradali, soprattutto il venerdi’ sera.
*Le rovine
Sono ancora le rovine a caratterizzare la zona occidentale di Kabul. Le case sventrate durante la sanguinosa guerra fratricida tra le varie fazioni dei mujahidin, tra il 1992 e il 1996, continuano ad essere l’elemento dominante sulla Darul Aman road, la strada, lunga chilometri, che porta a quello che era stato il palazzo di re Amanullah. Il vecchio palazzo reale appare maestoso, anche se completamente sventrato, in fondo alla strada, sulla collina. Dalla facciata cadente si puo’ comunque intuire la bellezza del passato. Il palazzo sara’ ora completamente ricostruito per iniziativa di un uomo d’affari afghano-tedesco che ha raccolto fondi privati per finanziare l’intervento. Il museo che si trova ai piedi della collina, invece, e’ gia’ stato ricostruito. Le macerie, ancora intatte nel loro lugubre squallore nel 2003, sono ora interrotte da nuovi edifici, molti occupati da negozi, e poi un complesso impenetrabile di cui si vedono solo le insegne della Elf. L’enorme compound - con cinque palazzine oltre all’edificio principale - gia’ sede dell’ambasciata sovietica, poi occupata da migliaia di sfollati in fuga dallo Shomali sotto il fuoco dei taleban, ora e’ in corso di ricostruzione e ospitera’ la nuova ambasciata russa. I russi sono tornati a Kabul, numerosi. Del resto, i tempi dell’occupazione sovietica sono lontani, i comunisti tornano in parlamento e i nuovi russi sono sicuramente esperti nella corsa al capitalismo selvaggio che e’ diventato il miraggio dei signori della guerra afghani, sotto protezione Usa. I profughi hanno lasciato le palazzine ex sovietiche ma, poco lontano, in quello che era una volta il centro culturale francese, sono ancora accampate numerose famiglie, senza assistenza. Sono 380.000 i profughi rimpatriati nel 2005 da Iran e Pakistan che stanno chiudendo alcuni campi e costringono gli afghani ad andarsene, anche se, viste le condizioni del paese, il rientro dovrebbe essere volontario. E, molti di loro, una volta rientrati non sanno dove andare. Sulla Darul Aman road e’ stato ricostruito anche il piu’ grande liceo dell’Afghanistan, vanto del re Amanullah, che pero’ scompare di fronte all’enorme ed estesa struttura in costruzione sull’altro lato della strada. La Hawza Almeya Khatim Alnabeeyan diventera’ una scuola islamica internazionale, per sciiti e sunniti, dove gli studenti verranno anche ospitati, maschi e femmine. Si vedono in costruzione grandi dormitori. Una alternativa alla famosa universita’ islamica di Islamabad. L’opera costosissima e’ iniziativa di sheikh Hossef Muhssini, un pashtun sciita di Kandahar, leader del Movimento per la rivoluzione islamica in Afghanistan, che avrebbe ricevuto finanziamenti anche dall’Iran. L’opera costituisce un affronto in una citta’ che non ha nemmeno un ospedale funzionante - l’unico che dispone di una terapia intensiva e’ quello di Emergency - e molti bambini vanno a scuola sotto le tende per mancanza di aule. Invece di ospedali si costruiscono moschee, si lamentano alcuni. Due moschee sono infatti in costruzione in due parchi della citta’, Baharishan e Zarnegar. Eredita’ dei taleban che le avevano iniziate e che ora devono essere terminate: non si puo’ distruggere una moschea.
*Bordelli per stranieri
Ville, alberghi, guest house e ristoranti si sono moltiplicati nella zona residenziale di Wazir Akbar Khan, dove si trovano anche diverse ambasciate. Ma non tutte le guest house e, soprattutto, i ristoranti cinesi servono allo scopo dichiarato. Quasi inevitabilmente, la presenza di militari e uomini d’affari maschi alimenta la prostituzione, nuova attivita’ fiorente nella Kabul dei mujahidin e dei taleban. I bordelli sono in genere vietati agli afghani, tranne ai ricchi che li gestiscono. Il tabu’ sessuale e’ ancora ufficialmente in vigore. Le prostitute sono cinesi, filippine e ora sono in arrivo uzbeche e tagiche, dicono i bene informati. I prezzi vanno dai 50 ai 100 dollari. Inaccessibili per gli afghani meno abbienti che si devono accontentare delle vedove con burqa. Un altro paradosso di Kabul. La maggior parte delle donne che portano ancora il burqa, ormai una minoranza, lo fa per "convenienza": per sfuggire al controllo familiare, come e’ successo durante le elezioni, oppure per nascondere la poverta’ sempre piu’ diffusa di chi e’ costretto a chiedere l’elemosina per strada o davanti alle moschee, oppure a vendere chewing gum ma anche, per lo stesso motivo - sbarcare il lunario - a prostituirsi. Sesso per i locali, per pochi soldi. Nulla a che vedere con la prostituzione per gli stranieri. E con il burqa la faccia e’ salva.
Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 settembre 2005
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ==============================
Supplemento settimanale del giovedi’ de "La nonviolenza e’ in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it Numero 31 del 29 settembre 2005
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